Abbiamo intervistato Elisa Pedrazzoli, che con la sua azienda è stata la prima a produrre salumi certificati biologici in Italia, ormai vent'anni fa. Con lei abbiamo analizzato le peculiarità dei salumi certificati bio a iniziare dalle grandi differenze tra i due tipi di allevamento dei suini, bio e convenzionale
Elisa Pedrazzoli è da vent’anni la responsabile della linea biologica Primavera Bio del Salumificio Pedrazzoli, azienda mantovana di salumi nata nel 1951. Convinta fautrice del biologico, ha creduto fortemente nei valori ad esso associati quali il rispetto per la natura e per l’ambiente, così da produrre dei salumi buoni ma che fossero anche sani.
Quando è nata la linea bio di Pedrazzoli?
Mi sono sempre interessata al mondo del bio e dell’agricoltura biologica. L’idea di produrre salumi bio è nata giusto 20 anni fa quando un allevatore si presentò da noi in azienda con un centinaio di suini bio. Da quel momento inizia quella che considero ancora oggi una bellissima e quanto mai affascinante avventura da pionieri assoluti in Italia: una linea di salumi biologici. Dopo diversi confronti con l’ente di certificazione (non esisteva allora né un disciplinare né una legge per le produzioni animali) nacque il primo prodotto in Casa Primavera: un salame, che presentammo, quasi timidamente, al Sana – il salone del bio a Bologna - nel settembre 1996. Da lì siamo partiti e oggi la linea Primavera conta circa 60 prodotti.
Quanto copre la vostra produzione biologica, rispetto al totale aziendale?
Oggi il 60% del fatturato è ottenuto con i prodotti bio. È stato un lungo percorso. Avendo seguito io fin da subito questa linea, ho vissuto in prima persona tutte le difficoltà che questa scelta comportava. Per esempio non era facile capire il mercato, decidere a chi vendere questi prodotti. Ricordo che ai primi Sana la gente ci chiedeva se i salumi fossero fatti proprio di carne oppure di seitan e tofu... Loro erano stupiti e io allibivo alle loro domande, considerato il mondo da cui arrivavo! Ricordo ancora com’eravamo guardati con sospetto dagli altri produttori… d’altronde, quando sono entrata in azienda il mio desiderio era dare un apporto diverso, personale, portando anche i miei valori.
Anche se oggi i vegani, con la loro attività, hanno fatto conoscere qualcosa del mondo dell’allevamento industriale, per la maggior parte delle persone la produzione di carne avviene in luoghi mitici uguali alla vecchia fattoria delle favole dell’infanzia. È molto difficile per un produttore bio far capire che è solo la produzione biologica a potersi avvicinare a quest’immagine ideale, e spiegare il mare di differenze che c’è tra una produzione di carne biologica e una convenzionale…
Vero. So infatti che uscirà una campagna su questo tema in collaborazione con Compassion in World farming, associazione con la quale collaboriamo, dove si mostra come la pubblicità di prodotti alimentari di origine animale che oggi viene proposta sia ingannevole perché è idilliaca, mostra animali che vivono liberi, danneggiando anche noi produttori biologici perché in questo modo non si riesce a capire che cos’abbia in più il biologico rispetto all’allevamento industriale.
Vediamo le differenze allora
L’allevamento biologico è strettamente connesso con il territorio. Per allevare un maiale bio, ma anche una gallina o un bovino, bisogna avere un terreno coltivato a biologico; il mangime deve essere bio e deve provenire in massima parte dall’azienda stessa. Tutto questo può sembrare ovvio: in effetti è quello che succedeva una volta, mentre in realtà è rivoluzionario rispetto a ciò che accade normalmente oggi, dove con la specializzazione dei processi si è distinto ogni ruolo e quindi c’è uno scollegamento tra chi coltiva, chi prepara i mangimi e chi alleva. Il legame stretto tra terreno e allevamento, la proporzione tra i due elementi, che indica i limiti di capi allevati per ettaro di terreno, è imposto al metodo biologico anche perché si abbia modo di smaltire in modo corretto e sostenibile i liquami. Per questo dove si possono allevare in modo convenzionale 1000 animali il biologico ne alleva solo 100. Nell’allevamento biologico i suini hanno più spazio, con accesso ad ambienti esterni, a zone dove poter pascolare.
C’è un effetto evidente sugli animali?
Certamente. Vivendo in ampi spazi, i maiali rischiano molto meno di ammalarsi. Devono comunque essere utilizzati trattamenti omeopatici o fitoterapici per le cure degli animali. Inoltre, sono vietati i trattamenti preventivi effettuati normalmente per aumentare la resa.
Che cosa distingue il mangime?
Deve provenire da agricoltura biologica ed essere OGM free, mentre oggi la maggior parte dei mangimi convenzionali sono a base di soia e mais OGM. Viene a costare circa il doppio rispetto al mangime convenzionale. Inoltre non può essere supportato da altro, come sostanze che accelerano la crescita o rendono più appetibile il mangime stesso. Anche per questo, serve un tempo di allevamento più lungo per ottenere il giusto peso dell’animale. Se nel convenzionale il suino impiega 9-10 mesi, quello allevato con il metodo bio raggiunge lo stesso peso in 12 mesi. E questo chiaramente rende ancora più costosa la sua produzione.
E per quanto riguarda la trasformazione?
Il processo produttivo del bio è regolamentato da una serie di normative che impongono di produrre in maniera decisamente più naturale, ma molte delle scelte che vengono fatte sono proprie di ciascuna azienda. Noi cerchiamo di andare incontro ai nostri consumatori che richiedono un’etichetta il più possibile “pulita”, con il minor numero possibile di ingredienti. Per esempio non usiamo i nitriti e nitrati in tutti i prodotti stagionati, evitiamo i derivati del latte e, quando necessari, si usano zuccheri grezzi, in basse percentuali. Confrontando le etichette si possono cogliere le differenze, che sono sostanziali.
Quali sono i vostri mercati?
In Italia vendiamo principalmente nei negozi specializzati biologici, sia a banco taglio che affettati in vaschetta. All’estero lavoriamo con distributori, sempre in canali specializzati. La proporzione è quasi al 50% sull’estero rispetto l’Italia. I nostri mercati principali sono Germania e Francia, seguiti da Olanda, e in via di sviluppo e molto recettivi, i Paesi del Nord Europa.
Un pensiero finale
Per noi è importante poter informare e far capire ai nostri consumatori i plus dell’allevamento biologico per la produzione dei nostri salumi. Per noi il cibo deve essere una “estensione della natura”, quindi il rispetto per l’ambiente e per gli animali fa parte del nostro modo di pensare e del nostro agire quotidiano, perché chi fa bio deve pensare bio! Ecco perché il 20 di marzo scorso in occasione del nostro ventennale abbiamo lanciato il blog www.passione.bio che vuole essere un canale aperto di informazione ma anche di confronto con i nostri consumatori sul mondo del biologico.