Cecilia Strada, figlia di Gino Strada e presidente di Emergency, ci racconta quanto sia importante il cibo, e non solo la quantità ma anche la qualità, nei Paesi devastati da guerre e carestie. Riflessioni che ci aiutano a tornare ai veri valori dell’esistenza
C’è un’arma forse più micidiale delle bombe e dei kalashnikov, pur essendo anche una loro conseguenza, ed è la fame. Perché la malnutrizione indebolisce ed espone l’organismo a malattie che poi diventano mortali e rendono più difficilmente superabili i traumi e le ferite. Lo sanno bene quelli di Emergency – associazione italiana nata nel 1994 per offrire cure medico chirurgiche gratuite alle vittime della guerra e della povertà - che infatti dedicano una grande attenzione alla questione cibo. E lo sa bene Cecilia Strada, che si è trovata sulle spalle la grossa responsabilità della presidenza di Emergency, ruolo che ha ereditato dalla madre Teresa Sarti e che, al fianco del padre Gino, medico e fondatore dell’associazione, sta affrontando con tutta l’energia e l’entusiasmo dei suoi trent’anni.
Quanto incide il cibo sulle malattie nei Paesi in cui siete attivi?
Essere alimentati male significa essere molto più soggetti alle malattie e, nei Paesi in guerra, la fame e la malnutrizione sono conseguenze dirette del conflitto. Noi affrontiamo questo grave problema innanzitutto dando da mangiare ai nostri pazienti tre volte al giorno, cosa che costituisce l’eccezione e non la regola, visto che chi è ricoverato negli ospedali pubblici deve farsi portare i pasti da casa. Abbiamo poi degli specifici progetti nutrizionali in alcuni Paesi, mentre in altri svolgiamo nei nostri centri pediatrici e di maternità un’attività di educazione igienico sanitaria per insegnare alle famiglie e alle mamme a preparare cibi nutrienti e ben bilanciati utilizzando gli ingredienti disponibili sui mercati locali.
Puoi fare qualche esempio di questi interventi?
Ad esempio nel campo profughi di Mayo in Sudan insegniamo alle mamme banalmente a far bollire l’acqua, per evitare infezioni anche letali, in Sierra Leone abbiamo un progetto specifico sulla malnutrizione e prendiamo in carico i bambini finché non sono usciti dalla fascia a rischio, iniziando nei casi più gravi dalla nutrizione endovenosa per passare gradualmente alla somministrazione regolare dei pasti.
Che differenze ci sono riguardo al problema alimentare, tra i vari Paesi?
All’interno di uno stesso Paese ci possono essere situazioni diverse anche in luoghi vicini. Prendiamo, ad esempio, l’Afghanistan: nel nord, dove ci sono villaggi isolati, il problema della mancanza di cibo è legato anche alla disponibilità di acqua, mentre dove c’è acqua c’è più cibo, anche se si tratta appunto di villaggi vicini. Nella stessa Kabul ci sono anche altre differenze, nelle baraccopoli intorno alla capitale dove sono accampati i più poveri la malnutrizione è presente, mentre non c’è nel centro della città.
Quanti pasti al mese distribuite e come fate la spesa?
Ogni mese distribuiamo novantamila pasti, in tutti i nostri centri. La spesa viene fatta prevalentemente ai mercati locali.
Che parere ti sei fatta riguardo alla disparità di risorse alimentari nel mondo?
La questione è molto complessa, ma sicuramente tra i motivi c’è un non corretto utilizzo delle terre del Sud del mondo, che vengono sfruttate per coltivazioni intensive di prodotti che consumiamo nei Paesi ricchi, sottraendo risorse alle popolazioni locali. Credo poi che di cibo ce ne sarebbe per tutti, ma finché i nostri Paesi continueranno a produrre e a mangiare troppo e a sprecare ai livelli attuali ci saranno sempre queste grandi disparità. Ritengo insomma che bisognerebbe rivedere un po’ il nostro stile di vita e, anche se non sono un’esperta nel settore, suppongo che il colonialismo, soprattutto in Africa, abbia avuto enormi responsabilità nella mancanza di uno sviluppo sostenibile e di progresso.
Hai viaggiato tanto: raccontaci come mangi e un episodio che ti ha colpito
Sono abituata a mangiare quello che mi mettono nel piatto senza pormi troppi problemi e durante i miei viaggi mi nutro con il cibo locale. E anche se mi trovo davanti cibi che mi lasciano perplessa non li rifiuto per rispetto verso chi, pur non avendo nulla, vuol condividere con me quel nulla che ha. Ricordo che una volta nel corso di una visita in un ambulatorio all’interno di una prigione in Afghanistan i detenuti, che davvero non avevano nulla, mi offrirono metà del loro pacchetto di uvette. Certo, anch’io ho le mie preferenze. Tra i cibi che mi piacciono di più c’è il Kabuli Rice, a base di riso, uvette e carote, e adoro le polpette!
Cecilia a Milano: spesa, cucina, spreco
In casa cuciniamo un po’ tutti a turno, in base a chi ha più tempo, e lo stesso vale per la spesa. In quanto allo spreco, cerchiamo di fare il possibile per evitarlo, e facciamo la spesa col principio che quello che entra nel frigo poi deve entrare nella pancia, anche se purtroppo talvolta accadono impegni o contrattempi e non sempre riusciamo a essere coerenti con quel che ci siamo prefissati.
Hai un bimbo: quali sono i principi della vostra educazione alimentare?
In primo luogo, un bimbo sano appena svezzato mangia quel che mangiano gli adulti, se ovviamente si nutrono in modo corretto ed equilibrato. Poi cerchiamo di tenere il nostro bambino lontano da tutte le proposte accattivanti di cibi industriali, ma senza integralismi: la regola è che si mangia sano, ma se capita ogni tanto una patatina o una merendina, non la vietiamo di certo!
Un tuo ricordo da bambina a tavola con papà e mamma
Tanti ricordi naturalmente, ma soprattutto il fatto che i momenti dei pranzi erano dedicati a mangiare, parlare, stare insieme, senza televisione né telefoni. Perché la parte conviviale, l’aspetto sociale, erano considerate, in un certo senso, più importanti di quello che si mette nel piatto. Ed è quello che facciamo ancora ora.