È di recente pubblicazione sulle prestigiose riviste scientifiche internazionali Chemosphere e Science of the Total Environment della casa editrice Elsevier (il maggior editore mondiale in ambito medico e scientifico), uno studio condotto dal MUSE-Museo delle Scienze di Trento in collaborazione con il CNR – Istituto di Biofisica di Povo (Trento) che prende in considerazione l’effetto di rame e azadiractina – due pesticidi legalmente ammessi anche nelle coltivazioni biologiche – sugli insetti che popolano il Rio Gola, un torrente trentino che attraversa una valle coltivata dove i due pesticidi sono regolarmente e legalmente utilizzati secondo il Disciplinare Provinciale. Entrambi i pesticidi – si legge in un articolo su Meteoweb.eu che riferisce della ricerca - entrano per dilavamento nell’ecosistema acquatico e, a oggi, poco si sa sugli effetti che hanno sugli animali che vivono nei canali e nei torrenti in cui questi pesticidi finiscono. I dati raccolti nel corso del lavoro dimostrano che entrambi sono tossici – il rame più dell’azadiractina – e che le popolazioni esposte sono sofferenti. Il lavoro condotto sarà utile alle autorità che si occupano di valutare la qualità delle acque superficiali, per prendere in considerazione l’opportunità di una revisione del limite di legge di utilizzo di questi pesticidi, nonché ai produttori stessi cui si chiede di valutare sempre un’alternativa o proporre formule più eco-sostenibili.
La ricerca è stata svolta sulle acque del torrente Rio Gola, in Trentino. Come specie modello è stato scelto il Dittero Chironomide Chironomus riparius, una specie di insetto molto comune, resistente a basse concentrazioni di ossigeno ed elevato inquinamento organico, naturalmente presente nel torrente e mantenuto in allevamento in laboratorio durante i test sperimentali. La prima parte del lavoro ha valutato gli effetti della presenza di questi pesticidi – a concentrazioni crescenti – sulla sopravvivenza delle larve. Partendo dalla concentrazione ambientale (quella rinvenuta nel torrente al momento della raccolta), si è stabilita in più step la concentrazione massima tollerabile dall’animale, ovvero quella a cui si registra il 10%, 50% e 100% delle morti. Sulla base dei risultati dei test di tossicità acuta, il rame sembra essere più tossico dell’azadiractina per questi animali, che sono rappresentativi dell’intera comunità vivente nel torrente. In un secondo tempo, il lavoro ha preso in considerazione gli effetti molecolari dei due pesticidi, ovvero gli effetti sull’espressione di cinque geni, appartenenti a due famiglie di proteine. Entrambe le famiglie di proteine vengono coinvolte in risposte a stress chimico, le prime con azione di “protezione” verso proteine complesse essenziali – che altrimenti potrebbero perdere la loro struttura e funzione compromettendo la vita stessa dell’animale – mentre le seconde come enzimi ossidativi coinvolti nel processo di detossificazione, in grado di agire sia nei confronti di farmaci e tossine di origine esterna, sia su prodotti di scarto dell’organismo.
Lo studio dimostra che il Dittero Chironomide Chironomus riparius è molto resistente a questi due pesticidi, grazie alle due proteine che vengono sintetizzate in risposta all’aumento di concentrazione dei tossici. La presenza di queste due proteine in alte concentrazioni nella popolazione selvatica indica però una condizione di stress fisiologico (i due pesticidi stressano le popolazioni animali presenti nel torrente). E se le popolazioni naturali sono stressate, sono anche più vulnerabili. In conclusione, i due pesticidi naturali non sono innocui, e lo dimostra lo stato di stress fisiologico in cui gli animali acquatici vivono in acque in cui questi tossici arrivano per dilavamento dei terreni agricoli. Diventano letali a concentrazioni da 30 a 500 volte più elevate rispetto a quella che abbiamo misurato in natura, in primavera, prima dell’inizio dei trattamenti intensivi. Possiamo continuare, quindi, a utilizzarli? Secondo uno degli autori dello studio, Valeria Lencioni (MUSE) il rame andrebbe sostituito, come suggeriscono le normative europee. Per quanto riguarda l’azadiractina”, invece, meglio non abusarne, infatti non è innocuo.
I riferimenti dello studio
* Bernabò P., Gaglio M., Bellamoli F., Viero G., Lencioni V., 2017 – DNA damage and translational response rule the detoxification from copper exposure in a wild population of Chironomus riparius. Chemosphere, 173: 235–244.
* Lencioni V., Grazioli, V., Rossaro B., Bernabò P., 2016 – Gene expression profiling of responses induced by pesticides employed in organic agriculture in a wild population of the midge Chironomus riparius. Science of the Total Environment, 557–558: 183–191.
Ho chiesto a Alessandro Pulga - responsabile in un ente di certificazione e fondatore dell’associazione Bioesperti.it – di commentare i risultati di questo studio ed ecco la risposta che gentilmente ha mandato (F.T.)
Prima di tutto è importante sfatare un mito…
di Alessandro Pulga*
Prima di tutto è importante sfatare un mito: l’origine naturale di una sostanza non è sinonimo di innocuità per l’uomo e gli altri animali, in particolare quando la sostanza in questione è concentrata. Questo frainteso può essere chiarito facilmente, senza necessariamente mettere in campo rettili e ragni velenosi.
Tutte le sostanze diventano tossiche quando sono molto concentrate; anche se sono di origine naturale. Provate a assumere 30 o 500 aspirine tutte insieme, ma anche 30 o 500 porcini. L’effetto, seppur diverso, non è piacevole in entrambi i casi. Poche gocce di olio essenziale diluite in una soluzione acquosa o oleosa possono costituire un rimedio fitoterapico, ma se provate a bere anche un mezzo bicchiere noterete che l’effetto è nettamente opposto!
Questi effetti possono risultare evidentemente ancora più evidenti se testati con piccoli insetti, come hanno fatto i ricercatori MUSE.
L’agricoltura biologica punta a ridurre al minimo gli input esterni, preservando la naturale fertilità del terreno e sfruttando al massimo i meccanismi e gli equilibri naturali. Vieta l’impiego di OGM e tutela la biodiversità con rotazioni e successioni colturali ampie ed estensive che prevedano sempre la coltivazione di leguminose e sovesci. Predilige tutte le tecniche di coltivazione meccanica e privilegia le varietà autoctone e naturalmente resistenti ai parassiti e alle malattie. Solo in caso di necessità ammette l’impiego di concimi ed ammendanti organici naturali e alcune rocce naturali, prodotti per la difesa di origine naturale
Rame e azadiractina, le sostanze oggetto dello studio MUSE, sono solo due dei numerosi prodotti fitosanitari di origine naturale utilizzati per la difesa delle colture biologiche.
Non si può certo mettere in discussione la valenza di tutte le tecniche di produzione biologica, a fronte dei possibili effetti negativi di alcune sostanze, tra l’altro, impiegate solo in caso di necessità.
L’importante è conoscere e governare questi effetti. Ricerche come quella recentemente pubblicata dal MUSE, sono certamente utili agli agricoltori biologici (ma anche a quelli convenzionali) per perfezionare le loro tecniche di difesa. I prodotti a base di rame, così come altre tecniche alternative di difesa biologica sono stati fortunatamente adottati anche dagli agricoltori convenzionali più evoluti che applicano la cosiddetta “agricoltura integrata”.
Le problematiche evidenziate nello studio, in particolare per quanto attiene l’uso del rame, sono già note da anni. Non a caso la normativa europea da molti anni ha imposto forti limitazioni agli agricoltori biologici circa l’uso dei prodotti fitosanitari a base di rame (= max. 6 Kg. di rame per ettaro per anno).
Altri studi (vedi esempi) dimostrano che gli effetti problematici del rame dipendono non solo da fattori intrinseci al metallo stesso, ma anche dalle scelte agronomiche e dalle dosi di impiego, che devono variare in funzione della pressione dei patogeni, dei periodi vegetativi e dal tipo di formulato impiegato.
Diversi paesi del Nord Europa fanno molte pressioni per vietare l’utilizzo del rame in agricoltura biologica anche perché non hanno colture che beneficiano particolarmente del suo l’impiego, per cui non ne riconoscono la necessità. In alcune aree del nostro paese, invece, è praticamente indispensabile per la difesa delle produzioni ortofrutticole. Sempre nel Nord Europa, però, il rame viene impiegato in quantità molto elevate come integratore nell’alimentazione dei suini. L’eventuale contaminazione del rame in falda è molto più facile derivi dallo smaltimento dei liquami suini piuttosto che dalle gocce di prodotto che cadono dai frutteti e vigneti nel corso dei trattamenti fitosanitari.
Le problematiche della sostenibilità richiedono, quindi, un approccio “olistico”; i sistemi devono essere esaminati nella loro complessità, valutando tutti i fattori in gioco e le loro interazioni.