Che cos’è l’acrilammide?
È una sostanza che si forma a causa di reazioni chimiche che avvengono fra alcuni zuccheri e aminoacidi presenti nei cibi, in seguito alla cottura a temperature elevate, per esempio in forno, frittura o grigliatura, per tempi prolungati o a bassa umidità. All’acrilammide si deve il caratteristico imbrunimento e l’aroma gustoso degli alimenti rosolati e tostati.
Dove si trova in particolare?
Nel menu dei bambini le fonti maggiori di acrilammide sono le patatine fritte, specialmente in busta, seguite da pane morbido, biscotti e fiocchi per la colazione. Nella dieta degli adulti entrano in gioco anche il caffè, per via della tostatura, e gli alimenti grigliati, che andrebbero esclusi nell’infanzia. La formazione di acrilammide durante la cottura non dipende solo da temperature, tempi e umidità, ma anche dalle materie prime di base. Le patate, per esempio, ne sviluppano meno se conservate a temperatura ambiente, sopra gli 8 °C, anziché al freddo o surgelate. Quelle raccolte nei mesi estivi, inoltre, sono più ricche di zuccheri soggetti a formazione di acrilammide. Per quanto riguarda i prodotti da forno, una lunga lievitazione, come quella a pasta madre, abbassa gli zuccheri precursori di questa indesiderabile sostanza.
Perché è nociva?
Secondo i dati pubblicati dall’Efsa, Autorità europea per la sicurezza alimentare, l’acrilammide ha proprietà genotossiche, neurotossiche e muagene. Rappresenta, quindi, un rischio per fertilità, tumori e malattie genetiche. Questi effetti nocivi sono stati testati soprattutto sulle cavie e, come per molte altre sostanze tossiche, stabilire una quantità sicura per l’uomo è difficile. Le raccomandazioni dell’Efsa si basano quindi sulla dose con effetto “trascurabile”, valutata in base al peso corporeo. Nei bambini, comunque più sensibili degli adulti alle sostanze dannose, andrebbe ridotta il più possibile.
È possibile ridurre l’acrilammide nella produzione industriale?
L’11 aprile 2018 è entrato in vigore il Regolamento Ue 2017/2158 che obbliga cuochi, pasticceri e industrie alimentari a ridurre i livelli di acrilammide nei loro prodotti. Un gruppo di ricerca dell’Università della Basilicata, per esempio, ha individuato i passaggi critici, dalla temperatura di conservazione, a quella di cottura, allo spessore delle materie prime, mettendo in luce percorsi per prevenire le criticità. Seguendo questi modelli l’acrilammide può essere ridotta.
Come evitare la sua formazione nelle preparazioni fatte in casa?
Il rimo, semplice, accorgimento è ridurre le temperature di cottura, restando al di sotto dei 180 °C e optando, se necessario, per tempi di cottura più lunghi. Un secondo accorgimento, anche se empirico, è allenare l’occhio a valutare il colore dei cibi. Se il nero nei prodotti da forno, grigliati o tostati, è rigorosamente da evitare, come del resto suggerisce il nostro istinto, anche le sfumature di marrone intense andrebbero ridotte, a favore di beige più tenui. Uno strato di carta da forno sulle teglie evita che il cibo attacchi sul fondo con conseguenti bruciacchiature. I cereali ricchi di fibre, fra cui segale e grano saraceno, sono più suscettibili alla formazione di acrilammide di quelli raffinati perché più ricchi di asparagina, quindi vanno cotti a temperature più basse. Per evitare la formazione di acrilammide nelle patate, oltre a conservarle fuori dal frigorifero, aiuta immergerle in acqua una mezz’ora prima di cuocerle al forno, o meglio, bollirle 5 minuti in acqua acidulata con aceto. Ci sono, poi, spezie e altri ingredienti che frenano la formazione di acrilammide: per esempio il rosmarino per le patate e l’anice, i chiodi di garofano e la noce moscata per i prodotti da forno.