Il bouquet fiorito da mettere in bella mostra è superato: il nuovo oggetto del desiderio è il mazzo di fiori ed erbe spontanee eduli per arricchire l’insalata. Mangiare le viole è un vezzo modaiolo? Potrebbe darsi, eppure il foraging, ovvero la raccolta dei vegetali spontanei da utilizzare in cucina, è un affare serio e antico, dai risvolti più moderni che mai. Prima legato alla sussistenza, basti pensare alle ricette povere di nonne, bisnonne e trisavole, oggi alla ribalta grazie al filone della “nuova cucina nordica” improntata sull’uso di ingredienti autoctoni e stagionali, ma anche alla rinnovata coscienza ecologica.
Prima di infilare le scarpe da trekking e imbracciare le forbici, dovremmo fare un salto metaforico al centro della Terra. Valeria Margherita Mosca, “research & training, forager & chef” e fondatrice di Wood Ing, un laboratorio di ricerca e sperimentazione sull’utilizzo del cibo selvatico con sede a Seregno, in provincia di Monza, svela il nocciolo della questione: “Praticare foraging significa soprattutto acquisire un modo di relazionarsi all’ambiente più sensibile e rispettoso”. Scavando a fondo emerge che, nell’ottica del foraging conservativo, si può contribuire attivamente alla sua salvaguardia, ad esempio “se raccogliamo piante selvatiche commestibili molto presenti, o addirittura invasive, cooperiamo con l’ambiente tutelando la biodiversità”. Non stupiamoci, dunque, se quella che al primo sguardo potrebbe sembrare una gitarella domenicale a caccia di mazzetti odorosi ha le sue, precise, norme di comportamento.
Prima regola: il rispetto
Dedicarsi all’arte del foraging non è una cosa improvvisata ma bisogna essere preparati, studiare e farsi affiancare dagli esperti. “Poi - spiega Valeria Margherita Mosca - esistono comportamenti base da seguire per tutelare l’ambiente e noi stessi. Meglio non raccogliere specie rare e comunque non in quantità maggiore del 5% rispetto a quelle presenti (che in pratica significa una piccola parte di quelle che vediamo disponibili). Ovviamente va prelevata solo la parte della pianta che ci interessa e nella quantità realmente necessaria. È molto importante anche essere sicuri dell’innocuità di ciò che raccogliamo, in modo da evitare intossicazioni. Va infine scelto un luogo lontano da fonti d’inquinamento e ovviamente bisogna muoversi nell’ambiente in modo rispettoso, senza lasciare tracce del proprio passaggio”.
Sempre e ovunque
Meglio al mare o in montagna? In primavera oppure in autunno? Insomma: qual è la congiuntura favorevole per rientrare da una giornata all’aria aperta con un piccolo bottino e non a mani vuote? Le buone notizie sono due. La prima è che “il foraging si può praticare negli habitat più disparati, dalla campagna al mare, perché coinvolge materie prime diversissime che vanno ben oltre le erbe come licheni, alghe, radici, cortecce e semi”, spiega l’esperta. La seconda ci dà il via libera in tutte le stagioni, ognuna con le sue abbondanze, anche se l’estate potrebbe essere la meno favorevole visto che le erbe e i fiori primaverili lasciano spazio a frutti selvatici non ancora maturi.
Tante vitamine nel raw food
Si prefigura un paniere davvero ricco, composto da specie selvatiche che potrebbero crescere in abbondanza proprio attorno a noi, spalancando nuove opportunità di risparmio e creatività in cucina. Quanto in là possiamo spingerci con la quota selvatica? “L’etnobotanica suggerisce che il cibo selvatico può arrivare a coprire l’80% dell’alimentazione umana. Se qualcuno si appassiona alla materia e decide di formarsi può approfittare in grandissima scala del cibo selvatico, tenendo sempre a mente l’ottica conservativa di salvaguardia e cooperazione con l’ambiente”, spiega Valeria Mosca. Viene da chiedersi anche se il food shopping nella natura abbia un vantaggio nutrizionale. La risposta è che il tanto osannato superfood è alla portata di forbici dal momento che alcuni vegetali selvatici freschi sono una riserva inestimabile di sostanze nutrienti, in particolar modo di vitamine e sali minerali. La comunissima piantaggine, ad esempio, apporta grandi quantità di vitamina K.
L’outfit giusto
Il foraging urbano, magari nel parco vicino casa, richiede solamente un po’ di comodità. Il discorso è diverso quando si mira al foraging negli ambienti naturali incontaminati: in questo caso l’abbigliamento outdoor deve tenere conto dell’imprevisto. “Potrebbe essere necessario abbandonare il sentiero per addentrarsi nella natura più selvaggia - spiega Valeria Margherita Mosca - ed ecco che spunta dal cilindro il caro vecchio abbigliamento sportivo a strati, accompagnato da un paio di scarponcini da montagna impermeabili, uno zaino con delle provviste, una mappa e un gps per assicurarsi di non perdere l’orientamento. L’equipaggiamento di base per la raccolta prevede invece guanti da giardinaggio, coltello, forbici e un cestino o una borsa di cotone che lascino libere le spore delle piante”.
Assaggiate queste piante
La natura offre ai raccoglitori alle prime armi una serie di specie botaniche di semplice raccolta da impiegare in cucina, anche a crudo, dopo un accurato lavaggio. Tra le principali, Valeria Margherita Mosca annovera l’aglio orsino del quale si usano bulbo, foglie, fiori e semi; i fiori e le foglie dell’erba aglina, dell’edera terrestre, della limoncina e della lavanda; i boccioli e le foglie della piantaggine minore; lo spinacio selvatico che regala foglie, fiori e semi; e il tarassaco, una vera e propria pianta antispreco della quale si utilizzano foglie, radici, fiori e steli. Infine, se volete portare un bouquet fiorito, commestibile, a tavola, puntate su fiordaliso, garofano, geranio, giglio di San Giovanni, magnolia, rosa e pratolina.