Delle diete cosiddette a digiuno intermittente si parla tanto in questi anni. Ma per lo più come metodi dimagranti alternativi che hanno inserito il concetto di restringere tutti i pasti della giornata in un numero ristretto di ore. Anche se esistono tanti varianti, va detto. Eppure questo approccio alimentare in realtà, più che per la questione del puro dimagrimento era stato proposto come metodo per prevenire o trattare anche alcune patologie, come quelle metaboliche. E quindi come il diabete di tipo 2, il tipo più diffuso e che si può anche prevenire, al contrario di quello di tipo 1, che ha un’origine autoimmune.
Non deve perciò stupire questo studio, a oggi uno dei più importanti, dell’Università di Adelaide appena pubblicato su Nature Medicine, che ha messo a confronto l’efficacia del digiuno intermittente e la dieta ipocalorica. Va tenuto presente che a oggi gli interventi dietetici che comportano una moderata restrizione calorica sono una strategia consolidata per la gestione del peso e che riescono a ridurre il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 per oltre 10 anni. Tuttavia, un'area di ricerca emergente riguarda il ruolo dell'orario dei pasti e del digiuno prolungato nell'estendere i benefici per la salute della pura restrizione calorica.
La ricerca, in breve
Insomma, l’obiettivo dei ricercatori australiani era valutare quale fosse l’approccio dietetico più efficace per prevenire il diabete - o quanto meno allontanare l’esordio – nelle persone più a rischio di ammalarsi o che si trovano in una condizione nota come prediabete.
Per un periodo di 18 mesi le oltre 200 persone reclutate per lo studio sono state divise in tre gruppi: nel primo i partecipanti per tre giorni a settimana non consecutivi si dovevano nutrire soltanto al mattino, assumendo il 30% del loro fabbisogno energetico in una finestra di sole quattro ore che andava dalle otto a mezzogiorno (gli altri giorni erano a dieta libera). Il secondo gruppo doveva seguire una dieta ipocalorica e senza prescrizione oraria che prevedeva il 70% del fabbisogno energetico giornaliero; il terzo gruppo non doveva seguire una dieta vera e propria ma gli era stato consegnato del materiale con consigli dietetici.
Un percorso da proseguire
Dopo 6 mesi dalla fine dello studio, il gruppo del digiuno ha mostrato una maggiore tolleranza al glucosio rispetto agli altri: "Seguire una dieta a digiuno intermittente a tempo limitato potrebbe aiutare a ridurre le possibilità di sviluppare il diabete di tipo 2", commenta Leonie Heilbronn, autrice senior dello studio. "I partecipanti che hanno seguito questo metodo erano più sensibili all'insulina e hanno anche sperimentato una maggiore riduzione dei lipidi nel sangue rispetto a quelli che seguivano la dieta ipocalorica".
Va anche detto che nel gruppo dei "partecipanti digiunatori” si sono verificati un maggiore caso di eventi avversi, come l’affaticamento o costipazione, sebbene transitori e generalmente lievi. In conclusione, sebbene i risultati siano stati promettenti, sono necessarie ulteriori ricerche per verificare se gli stessi benefici si riscontrano con una finestra alimentare leggermente più lunga, il che potrebbe rendere la dieta più sostenibile a lungo termine. E quindi più efficace in ternini di prevenzione.
Gli effetti del digiuno a finestra temporale, es. dalle ore 15 alle 9 del giorno successivo per 3 giorni a settimana, hanno effetti a largo raggio sulla salute dell’uomo. Questa pratica ha effetti terapeutici perché mette a riposo il sistema digestivo.