Il tema del cibo che conforta interessa tutti indistintamente, credo sia recondito dell'uomo fino dalla sua nascita, istintivamente e in maniera semplice rifugiarsi nel cibo era come appartarsi in un luogo segreto, intimo e esclusivo spesso lontano dagli occhi dei molti.
È naturale che un imprinting così forte sia arrivato fino ai nostri giorni dove è poi esploso purtroppo in molti casi degenerando e diventando elemento essenziale per l'insorgere di molte patologie moderne legate all'alimentazione.
Ma di per se questa primordiale abitudine è così negativa e da condannare o aggravare di sensi di colpa profondi?
Ci aiuta a capire meglio e rasserenare in parte l'animo lo studio del Dipartimento di psicologia dell’Università della California e di Los Angeles pubblicato su Appetite che presentavo brevemente ieri.
Basato sui dati che hanno interessato quasi 2400 donne di giovane età di cui si sono osservate le reazioni psicologiche e pratiche di fronte a situazioni critiche o di stress.
Chi all'interno del gruppo di osservazione era ricorso al comfort food per superare le situazioni difficili riusciva sempre a reagire meglio e affrontare più agevolmente le problematiche.
Con un'eccezione importante che pone diverse riflessioni interessanti: chi viveva una situazione di depressione medio forte non traeva alcun beneficio dal “cibo che conforta” di qualsiasi tipologia.
La ricerca è importante per vedere sotto un'altra ottica un abitudine spesso condannata a priori senza alcuna analisi oggettiva, ma rimane una ricerca e come tale ha bisogno di altre conferme e di essere incrociata con chi è arrivato a conclusioni diverse.
Qui in particolare la presenza di sole donne pone ad esempio subito l'interrogativo se anche per gli uomini si innescano gli stessi meccanismi di compensazione.
E in ogni caso non risponde all'interrogativo di quale è il confine tra un cibo rassicurante e quello degenerante proprio perché considerato di conforto a dispetto di quantità, frequenza e qualità.
Quello che ci può guidare è come sempre la moderazione e la consapevolezza di quello che consumiamo separandolo dal contesto oggettivo che viviamo e ricorrere magari a quei cibi di conforto che non portano in se un carico eccessivo di calorie e grassi.
La mia ricetta che accompagnava l'articolo uscito sul Corriere è stata una rivisitazione difficile ma ben riuscita di un classico della pasticceria povera e semplice regionale Italiana, quella abituata a usare tutto dagli alimenti compresa la buccia!!!
E con la buccia delle arance eccovi queste morbide scorze candite solo in parte (ovviamente per limitare gli zuccheri) ma rese più confortanti dalla presenza del cioccolato!!!
Scorzette semi candite al cioccolato
Ingredienti per 4 persone:
- 1 grande arancia biologica,
- ½ cucchiaino di vaniglia nera in polvere,
- 50 g di zucchero,
- 60 g di cioccolato fondente
Preparazione
- Tagliare in striscioline larghe circa ½ cm la buccia dell'arancia, se ne ricavano circa 20-22.
- Lessarle in acqua bollente per 1 minuto e scolarle, ripetere l'operazione altre 4 volte, nell'ultima acqua aggiungere la vaniglia in polvere (o un baccello tritato), non scolare le bucce e lasciarle raffreddare.
- Scaldare per 1 minuto lo zucchero con 4 cucchiai di acqua e formare uno sciroppo.
- Immergere nello sciroppo le bucce asciugate prima con un panno, adagiarle in una teglia e lasciarle consolidare in forno a 130 gradi per 20 minuti.
- Raffreddarle, immergerle per metà nel cioccolato sciolto e conservarle in frigorifero.