In generale, il giudizio della Federazione Italiana Agricoltura Biologica e Biodinamica – si legge in un articolo comparso su Il Corriere ortofrutticolo - continua ad essere in parte negativo pur apprezzando come il documento integri alcune delle principali richieste dei produttori biologici.
Tra i temi al centro dell’attenzione della Federazione Italiana Agricoltura Biologica e Biodinamica l’accesso alla certificazione di gruppo che, seppur valutato positivamente, andrebbe modificato inserendo il criterio del fatturato al posto della dimensione aziendale. “Riteniamo strategico basarsi sul fatturato poiché, ad esempio, 5 ettari di vigneto a Montalcino, tre ettari di meleto in Val di Non, ammesso che esistano nella zona realtà così grandi, o cinque ettari di pescheto a Cesena non fanno di certo pensare a strutture che possano definirsi piccole aziende”, spiega Paolo Carnemolla, Presidente FederBio.
Per quando concerne i residui accidentali e tecnicamente inevitabili di pesticidi, FederBio rimarca che la soglia di contaminazioni non autorizza l’uso di fitofarmaci di sintesi nella produzione biologica. Tale soglia serve solo per offrire criteri uniformi di valutazione nello svolgimento dell’attività di controllo.
“Attualmente, solo in Italia non può venire concessa la certificazione bio sopra la soglia di 0,01 ppm, pari a 1 grammo di fitofarmaco su 100 tonnellate di prodotto, neppure se dalle verifiche ispettive risulti l’assoluta estraneità dell’operatore alla contaminazione. Al di sotto di tale soglia, ad esempio, in presenza di un residuo di 0,003 ppm, 1 grammo di fitofarmaco su 333 tonnellate di prodotto, l’organismo di controllo deve condurre una specifica indagine per accertare se la contaminazione dipenda da fattori al di fuori del controllo dell’operatore. Le regole europee sull’agricoltura biologica impongono di non usare prodotti chimici di sintesi, ma non possono garantire l’assoluta assenza di residui in quanto la certificazione è di processo e non di prodotto. Considerando che già nelle acque d’irrigazione si trovano residui di fitofarmaci il cui uso è cessato da decenni, ci chiediamo come sia possibile attribuire agli agricoltori biologici questa responsabilità. Ciò in considerazione anche del fatto che i fenomeni di inquinamento ambientale, come attestano gli stessi regolamenti europei, sono tecnicamente inevitabili”, continua Carnemolla.
FederBio ritiene inoltre fondamentale un approccio uniforme a livello europeo per evitare che imprese di trasformazione italiane debbano rifiutare prodotti agricoli nazionali con contaminazioni accidentali e tecnicamente inevitabili nella misura di 0,011 ppm e accettare, per il criterio della libera circolazione delle merci, un prodotto estero con contaminazione perfino maggiore.
Su questo punto il nuovo Regolamento europeo, rinviando ogni decisione e dando agli Stati membri cinque anni di tempo per adeguare la propria normativa nazionale, rischia di penalizzare gli agricoltori italiani.
Sul punto relativo alla coltivazione fuori terra, FederBio sottolinea come si tratti di un regime transitorio concesso a un gruppo di aziende biologiche danesi, svedesi e norvegesi, che possono coltivare funghi, fragole e ortaggi in cassoni di terra nelle serre, sistema di coltivazione vietato a livello europeo dal Reg. UE 2018/848. La deroga riguarda un’area complessiva di circa 20 ettari già identificati e non aumentabili, cioè lo 0,00016% dei 12,1 milioni di ettari coltivati secondo metodo biologico in UE.
Sugli OGM, tema sul quale la Federazione è particolarmente sensibile, si precisa che la soglia di contaminazione accidentale o tecnicamente inevitabile con OGM autorizzati in UE non è neppure citata nel regolamento sulle produzioni biologiche. È stata invece definita in quota 0,9% dal Reg. CE 1829/03 e si applica a tutte le produzioni, convenzionali e biologiche, a condizione che gli operatori siano in grado di dimostrare alle autorità competenti di avere adottato tutte le misure appropriate per evitarne la presenza.
Positivo il giudizio sulla certificazione delle importazioni che prevede lo stesso controllo e le medesime tecniche di produzione adottate in Europa per i prodotti biologici extra UE.
“Considerando le diversità oggettive tra i vari Paesi, ad esempio climatiche, non ha molto senso stabilire che le tecniche di produzione debbano essere le medesime. Una volta che sia inequivocabilmente rispettato lo spirito della norma possono ben esserci leggere differenze tecniche. Nell’allevamento gli animali devono avere libero accesso al pascolo quando la stagionalità lo consenta: attualmente pascolano di più i manzi delle aziende del Sud Europa che quelle del Nord coperto dalla neve per buona parte dell’anno, ma ciò non significa che il latte prodotto nel nord della Svezia sia ‘meno biologico’ di quello italiano”, precisa Carnemolla.
Infine, per quanto concerne la frequenza dei controlli, FederBio ritiene che dopo tre anni di ispezioni senza problemi, la verifica obbligatoria debba continuare ad essere annuale e non biennale come prevede il nuovo Regolamento