Domenica 6 ottobre nelle piazze delle più importanti città italiane si svolgerà la quattordicesima edizione della Biodomenica, l’incontro fra agricoltori biologici e cittadini promossa dall’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica, dalla Coldiretti e da Legambiente. Con Vincenzo Vizioli, presidente dell’Aiab, parliamo dei temi al centro dell’iniziativa
Domenica 6 ottobre nelle piazze delle più importanti città italiane si svolgerà la quattordicesima edizione dell’incontro fra agricoltori biologici e cittadini promossa dall’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica, dalla Coldiretti e da Legambiente. Tra i temi al centro di questa edizione – si legge in un comunicato stampa – “l’agricoltura biologica come motore vincente della green economy, come metodo di produzione agricolo a minor impatto ambientale, capace di dare nuove prospettive di lavoro ai giovani”. Tutti i dati di questo settore – continua il comunicato – sono in controtendenza: crescono gli ettari coltivati, le aziende agricole, i punti vendita, e crescono anche i consumi domestici (+ 8,8% nel primo semestre di quest’anno secondo Ismea/GFK-Eurisko) mentre la crisi economica e il diminuito potere d'acquisto dei consumatori ha prodotto un calo dei consumi alimentari convenzionali. Ma come si spiega questa differenza? E’ questo il punto di partenza di una conversazione con Vincenzo Vizioli, presidente federale dell’Aiab, alla vigilia della Biodomenica.
Sul perché il biologico continui a crescere non si sono ancora fatti studi e riflessioni sistematiche. La mia impressione è che in questi anni, anche con il contributo del movimento per l’agricoltura biologica, sia cresciuto l’interesse e l’attenzione per l’alimentazione in tutti i suoi aspetti: salute, ambiente, qualità, provenienza ecc. In particolare il rapporto alimentazione-salute fa ormai parte del discorso pubblico e non sono pochi gli esperti in questo campo che alla fine dei loro consigli sui cibi da consumare aggiungono “meglio se biologici”. Ammesso che lo sia mai stato, oggi consumare biologico non è né una moda né un lusso ma una scelta consapevole e radicata alla quale non si rinuncia tanto facilmente, anzi… Lo conferma il fatto che – sempre secondo Ismea – i consumi medi per famiglia sono diminuiti, come è successo in generale, ma questa diminuzione è stata più che compensata dal fatto che nuove famiglie hanno iniziato a consumare bio.
Tutto bene, dunque?
Questi dati molto positivi testimoniano di una realtà che potrebbe essere il punto di partenza per un nuovo sviluppo del biologico, nella direzione di diventare uno dei motori della green economy. Ma, purtroppo, così non è. Di fronte al crescere della domanda si risponde aumentando le importazioni, non con politiche che orientino le produzioni ai bisogni dei consumatori. Infatti, quella degli importatori è una delle categorie che sono cresciute in questi anni e che continuano a crescere. Questo aspetto non sempre è chiaramente visibile perché, essendoci nella Ue la libera circolazione delle merci, i prodotti biologici che arrivano dai paesi membri non risultano fra i dati delle importazioni. Le nuove regole per le importazioni da paesi terzi, poi, hanno reso più facile l’ingresso di prodotti biologici senza risolvere i problemi legati ai controlli che gli scandali di questi anni hanno evidenziato.
Ma chi dovrebbe fare le politiche di orientamento di cui lei parla?
Dovrebbero farle le Regioni attraverso i Piani di sviluppo rurale che invece sono concepiti male. In Umbria, per esempio, quasi non esiste una produzione di ortofrutta biologica e adottare, attraverso il PSR, delle misure che promuovano queste produzioni, innescherebbe un circolo virtuoso fra produzione e consumo. Una prova di questo l’abbiamo avuta nella gestione del gruppo d’acquisto di Perugia che ha stimolato alcuni agricoltori a rifare gli orti. Per la frutta naturalmente il processo è più lungo, ma non impossibile. Invece, in generale, si preferisce “accontentare tutti” senza fare scelte oppure subire le pressioni delle lobby più forti, fra le quali non c’è sicuramente quella dell’agricoltura biologica.
Con la Nuova Pac cambierà qualcosa in meglio per l’agricoltura biologica?
Direi proprio di no, anche se i giochi non sono ancora del tutto fatti e qualche margine di manovra ci sarà ancora al momento dell’applicazione a livello nazionale. Ma, rispetto alle dichiarazioni iniziali che volavano alto, i risultati sono deludenti. Faccio solo un esempio. Si è partiti proponendo un meccanismo di pagamento alle aziende fondato su tre livelli. Il primo, era un contributo basso che doveva essere dato a tutti; il secondo livello di contributo doveva essere dato alle aziende che adottavano alcune misure ambientali minime, il terzo livello, quello del greening, era previsto fosse dato solo a chi applicava le misure ambientali più ampie e sostanziali. Strada facendo la differenza fra questi tre livelli si è via via ridotta con il risultato di un appiattimento al ribasso il cui esito finale sarà che tutti prenderanno lo stesso contributo, o quasi, senza tenere conto se fanno agricoltura convenzionale, integrata o biologica.
La revisione del sistema di controllo è ancora all’ordine del giorno?
Certamente e sotto molti punti di vista: il tipo di controlli (cartacei e sul campo), la preparazione degli ispettori, i costi delle ispezioni, ecc. Fra questi c’è un aspetto che ci sta particolarmente a cuore e che è molto importante per un paese come il nostro che vede il prevalere delle piccole aziende. Mi riferisco alla certificazione di gruppo ora accettata dalla Ue per i paesi terzi ma non per i paesi membri. Non si tratta di una forma di autocertificazione senza controlli bensì di un procedimento nel quale diversi produttori si mettono insieme e nominano un responsabile che promuove l’applicazione delle regole stabilite. C’è poi ogni anno un’ispezione da parte dell’ente certificatore, non su tutte le aziende ma su una percentuale. Le conseguenze dell’infrazione di un’azienda, però, ricadono su tutto il gruppo, rafforzando il controllo sociale e la responsabilità collettiva. Insomma, una buona qualità del controllo a un prezzo molto più basso, con in più uno stimolo alla cooperazione fra piccoli produttori che non guasta affatto.
Fra i temi della Biodomenica c’è anche quello degli Ogm…
Vogliamo ribadire la nostra ferma opposizione agli Ogm e tenere viva l’attenzione su un tema tutt’altro che superato. A luglio abbiamo plaudito alla emanazione del decreto che vieta la coltivazione del mais MON810 in Italia, firmato dai ministri dell’Agricoltura, dell’Ambiente e della Salute, in seguito alle semine illegali di questo mais in Friuli. Purtroppo però quel decreto non ha avuto alcun effetto pratico perché, secondo le autorità competenti, non esistono norme attuative che chiariscano come fare applicare quel decreto che l’azienda protagonista delle semine illegali si rifiuta di applicare spontaneamente con il sostegno della multinazionale che gli ha fornito i semi G.M. Un’altra dimostrazione gravissima del fatto che in Italia chi ha soldi e potere può rifiutarsi impunemente di applicare una legge dello stato.
Cosa metterà al centro della sua attività di presidente?
Naturalmente i temi che interessano tutto il movimento per il biologico, fra i quali quelli di cui abbiamo parlato finora. Rispetto all’associazione, poi, il mio impegno principale sarà quello di rafforzare e migliorare la nostra presenza sul territorio. Poco fa ho criticato il modo in cui sono fatti i Piani di sviluppo rurale. Per cercare di contribuire a farli meglio, non abbiamo altra possibilità che costruire delle Aiab regionali rappresentative della realtà locale del biologico e capaci di interloquire con le istituzioni. Per fare questo dobbiamo aumentare la nostra capacità di offrire servizi agli agricoltori e di far sì che le Aiab regionali più forti aiutino quelle più deboli a crescere.
Le piazze della Biodomenica 2013