Nell’Azienda agricola biologica “Il Rosmarino” si coltivano cereali, ortaggi, frutta; si allevano cavalli Haflinger utilizzati per la coltivazione nei campi, ed a scopo didattico; in azienda sono presenti anche asini, anatre, tacchini e galline ovaiole di specie in via di estinzione quali la Padovana, la Siciliana, la Livornese e la Robusta. Da lì è partita l’iniziativa di costruire una filiera corta del pane che, in cinque anni, ha coinvolto una decina di aziende agricole, un mulino e alcuni panificatori. Ne parliamo con il titolare, Piergiorgio de Filippi
Il Comune di Marcon si trova al confine con quello di Venezia. E’ li che la famiglia di Piergiorgio de Filippi possiede da oltre 40 anni venti ettari di terreno agricolo. Ed è lì che, finiti gli studi di lettere e filosofia, de Filippi costruisce una casa e nel 1993 si trasferisce per fare agricoltura biologica. Nell’Azienda agricola biologica “Il Rosmarino” con la sua compagna, e lavoratori stagionali quando serve, coltiva cereali, ortaggi, frutta, alleva cavalli Haflinger utilizzati per la coltivazione nei campi, ed a scopo didattico… E ha costruito una filiera locale per la produzione di pane bio con cereali antichi.
Arrivando qui – racconta - ho scoperto che abbastanza vicino viveva un agricoltore che faceva biologico dagli anni settanta, uno dei fondatori del movimento per l’agricoltura biologica in Italia. Faceva il pane e da lui ho preso i semi per il grano che lui veniva a prendere per portarlo a un mulino a pietra. Poi però è andato in pensione e io ho dovuto collocare diversamente il mio prodotto. Ho trovato un grossista e per qualche anno è andata bene, ottenevo anche un prezzo giusto. Poi l’attività del grossista è cresciuta, ha iniziato a importare tramite il porto di Marghera da dove gli arrivavano camion su camion di cereali. Lui non ha avuto più interesse ad acquistare da produttori locali da 100-200 quintali e il prezzo che ha cominciato a offrirci dal 2004 in poi superava di poco quello del grano convenzionale. Così ho dovuto cercare altre strade.
Ho provato a differenziare la produzione aggiungendo a quella cerealicola, quella orticola e frutticola. Ma la vocazione di questi terreni sono i cereali, così mi sono concentrato su questo, ma per non essere schiacciato dalla concorrenza al ribasso dei cereali importati dovevo trovare delle varietà che avessero delle caratteristiche di gusto e nutrizionali apprezzabili per il consumatore e tali da giustificare un prezzo che fosse remunerativo per noi.
Come le ha trovate?
A Vicenza c’è un Istituto intitolato a Nazzareno Strampelli, agronomo e genetista, che ha operato nella prima metà del Novecento nel campo della selezione e della valorizzazione genetica, soprattutto dei cereali. L’Istituto disponeva di una raccolta di circa 300 varietà di frumenti antichi. Io faccio parte dell’Associazione veneta produttori biologici che, nel periodo in cui avevo iniziato la mia ricerca, aveva in sede tre varietà di frumenti antichi – il farro monococco e i frumenti teneri Piave e Canove – donati dall’Istituto per chi avesse voluto provare a seminarli. Ma fino a quel momento nessuno li aveva presi convinti che, se erano stati abbandonati, una ragione ci doveva pur essere. Per esempio, che fossero meno produttivi. Io presi quei 150 chili di seme – cinquanta per varietà – e cinque anni fa cominciai la mia sperimentazione.
Vuol dire che di queste varietà non si sapeva abbastanza?
In realtà il farro monococco, che è il grano di più antica coltivazione, fin dai primi passi dell’agricoltura, è stato studiato molto e noi abbiamo dovuto sperimentare solo le condizioni della sua coltivabilità nelle nostre zone. Il Piave e il Canova sono invece varietà che si coltivavano in Veneto che lo Strampelli aveva selezionato e conservato per il miglioramento genetico. Su questi, a parte il lavoro di Strampelli, non ci sono studi, così abbiamo cercato un rapporto con l’università. Un giovane laureando ha fatto una tesi di laurea sulle caratteristiche organolettiche e nutrizionali del pane fatto con grano Piave e pasta madre. Ne è risultato che il pane aveva buone caratteristiche qualitative – croccantezza e capacità di rimanere fresco a lungo – ed è stato un segno d’interesse e di disponibilità da parte dell’università. Quest’anno dovremmo avere un po’ di ore di formazione per noi in azienda, finanziate dalla Regione.
Lei non si è limitato a coltivare il grano e a venderlo come materia prima…
No, l’idea è stata da subito di organizzare tutta la filiera del pane arrivando fino al consumatore. Abbiamo trovato il Mulino Rosso, che macinava ancora a pietra pur essendo una grossa realtà produttiva con clienti in tutta Italia. Abbiamo trovato alcuni panificatori biologici che erano disposti a lavorare con una materia prima, il farro monococco, con il quale, per le caratteristiche del suo glutine, non è facile ottenere una buona lievitazione e la lavorazione e la cottura vanno adattate alle sue caratteristiche particolari. E siamo partiti.
Nei cinque anni che sono seguiti, piano piano l’esperienza si è allargata e oggi esiste un’associazione che si chiama “Filiera corta dei cereali antichi bio” - con una decina di aziende agricole, alcuni panificatori e il mulino – che ha lo scopo di migliorare ognuno il proprio segmento produttivo, organizzare meglio la filiera e informare i cittadini. Quest’ultima attività consiste in almeno quattro incontri ogni anno nelle città principali del Veneto e con altri incontri in ristoranti, agriturismi, scuole alberghiere…
Quali difficoltà avete incontrato per costruire questa filiera?
Prima della panificazione – cui ho già accennato – i punti critici sono stati e in parte sono ancora lo stoccaggio e la lavorazione primaria. Non ci sono più aziende con granai propri e poiché ogni azienda gestisce l’intero processo dal campo al forno, non passiamo dallo stoccaggio in comune. E questo problema non ha ancora trovato una soluzione soddisfacente definitiva. Per la lavorazione primaria ci sono problemi soprattutto per il farro monococco. Il primo è che la spiga tende a non trattenere i chicchi, per questo tradizionalmente si ricorreva alla falciatura prematura, quando non era ancora del tutto maturo. In più era un grano che si falciava a mano, quindi il fenomeno della perdita di seme era più facilmente controllabile. Adesso, lavorando alla trebbiatura con terzisti, l’intervento è molto più invasivo, inoltre è impossibile stabilire esattamente quando si lavora e se il farro è pienamente maturo ci possono essere perdite anche significative. C’è poi il problema delle macchine –per esempio per decorticare il farro – che in genere sono troppo grandi per i nostri quantitativi. Per esempio noi, per quest’anno, abbiamo programmato 250 q.li di monococco, 100 quintali di frumento Piave e 50 di frumento Canove Lo stesso vale per le macchine che si usano per selezionare i semi da utilizzare l’anno successivo: noi dobbiamo per forza farlo a mano.
Anche per affrontare meglio questi problemi ci siamo dati come prossimo obiettivo quello di passare dalla forma attuale dell’associazione a un rapporto con le altre aziende su base economica.
Oltre al pane cos’altro producete con i vostri cereali e quali sono i vostri canali di vendita?
Insieme al pane facciamo prodotti da forno dolci e salati. Abbiamo avviato anche una collaborazione con una cooperativa del commercio equo-solidale che usa i nostri cereali per la preparazione di merendine. Con il monococco abbiamo anche avviato, con buoni risultati, la produzione di una birra e stiamo sperimentando la possibilità di ricavarne anche un latte e un caffè. Tutta la nostra produzione, inclusa quella ortofrutticola la vendiamo nei negozi specializzati in biologico della zona, nel nostro spaccio aziendale, ai Gruppi d’acquisto solidale, nei mercatini locali e tramite internet.