La difesa dell’ambiente non può prescindere dall’attenzione verso la produzione di cibo. Licia ha realizzato servizi giornalistici in tutto il mondo e ha potuto toccare con mano quanto la risorsa cibo sia iniquamente distribuita sul nostro pianeta e quanto questa ingiustizia si ripercuota poi sulla vita degli esseri umani. Ma Licia è anche una donna e una mamma, che del cibo si deve occupare prima di tutto nella vita di ogni giorno.
Nella quotidianità, come ti rapporti col cibo, anche come mamma?
In modo pacato ed equilibrato: il cibo è ovviamente un elemento essenziale alla sopravvivenza, ma non sono mai stata una gran cuoca né una gran buongustaia, anche se quando qualcosa mi piace l’apprezzo molto e me ne sazio. E anche quando sono diventata mamma e ho dovuto fare i conti con l’alimentazione di mia figlia Liala, non mi sono preoccupata più di tanto quando, giunto il momento dello svezzamento, non mangiava volentieri. Certo, all’inizio il suo rifiuto talvolta mi mandava in ansia, però poi, ragionando sul fatto che non ho mai sentito ora e in Italia di bambini morti di fame e vedendola comunque florida, anzi, più larga che lunga, mi sono rilassata e ora Liala mangia tranquillamente, pur senza strafare. Da quando c’è lei comunque pongo più attenzione nella ricerca di cibo sano e, se lo trovo, compro biologico, o almeno di lotta integrata.
Hai mai dovuto o voluto seguire diete per controllare la linea?
Non certo per dimagrire, perché non mi sono mai piaciute le persone magre, anche se questo è in controtendenza. Quando avevo diciotto anni pesavo cinquantotto chili e soprattutto, secondo i canoni correnti, non ero certo magra, ma io mi vedevo magrissima! Desolata dalle mie gambe troppo sottili e con le cosce che non “toccavano” – oggi un must - andavo dall’erborista e cercare alimenti corroboranti per mettere su qualche etto, senza risultato.
Questo, soprattutto vivendo nel tuo ambiente, è una bella dimostrazione di autonomia di pensiero! Ma veniamo alla tua professione: come sei arrivata a occuparti di animali?
Fin da bambina sono stata allevata nel rispetto e nell’amore per l’ambiente e gli animali e quando sono entrata in contatto col mondo della televisione mi sono domandata da subito come realizzare un programma in cui potessi essere me stessa senza interpretare ruoli vari. Così ho iniziato a elaborare un programma che parlasse di animali: non è stato facile, ma nell’89 sono riuscita a realizzarlo, unendo la mia passione infantile con il desiderio di fare anche qualcosa di utile.
Questo tuo amore per gli animali ti ha portato a essere vegetariana?
No, perché non credo che uccidere gli animali per cibarsene sia da condannare, anche se non mangio carne rossa da vent’anni: abbiamo una dentatura e un apparato digerente da onnivori e da tale mi comporto. Però non tollero la caccia, perché da noi è considerata uno sport e uccidere per divertimento non lo ritengo accettabile. Non la giustifico nemmeno per questioni di “riequilibrio ambientale”, perché in tal caso dovrebbero provvedervi le istituzioni, senza utilizzare i cacciatori che per compiere abbattimenti selettivi debbono prendere la licenza che, ricordiamo, è a pagamento.
Ma racconta: alle falde del Kilimangiaro ci hai mai mangiato?
Non esattamente là, ma non molto lontano. Il paese in questione era lo Swaziland, piccolo stato vicino al Sudafrica, e dopo un lungo percorso in fuoristrada eravamo arrivati in un accampamento, alla sera, in mezzo alla savana. La scena era da film: buio pesto, tutti seduti in cerchio davanti al fuoco, dove sobbolliva un gran pentolone dal contenuto misterioso, rimescolato dalla classica, florida e sorridente “mama”, e che ci veniva scodellato nelle ciotole. I miei compagni di lavoro erano andati a prendere le torce per cercare di capire cosa ci fosse in quella sbobba, ma io ho detto: “Fermi, non vi avvicinate, non guardate, non voglio vedere, non voglio sapere: siamo qua bloccati per quattro giorni, meglio non essere condizionati!” In realtà, quella specie di bollito era buonissimo e l’abbiamo mangiato tutti, affamati come lupi, e nessuno è stato male! Un’altra volta invece, ben lontano dal Kilimangiaro, in Florida, mi sono rifiutata di mangiare l’alligatore, l’animale su cui avevamo appena fatto un servizio e che al ristorante veniva servito in tutte le salse. Mi sembrava veramente contraddittorio cibarmi dell’oggetto del nostro documentario e ho fatto bene, perché tutti gli altri, dopo avermi dato della solita rompiscatole, sono stati malissimo! Proprio la vendetta del dio Alligatore! Ho mangiato nei posti considerati meno igienici e non mi sono mai ammalata, ovviamente usando le più banali precauzioni, mentre le peggiori gastroenteriti me le sono prese negli alberghi di lusso, forse perché in questi luoghi “asettici” ci si sente protetti e si allentano un po’ le attenzioni.
Hai scorrazzato in lungo e in largo per il mondo: che idea ti sei fatta degli squilibri economici e alimentari fra “primo” e “terzo” mondo?
Le considerazioni da fare sono molte e mi hanno colpito certe contraddizioni. Prendiamo ad esempio la risorsa acqua: per molti paesi è un dramma, eppure in questi paesi si coltivano alimenti che richiedono tantissima acqua, come il caffè, che poi viene esportato nei paesi ricchi, con la conseguenza che la popolazione locale non ha acqua a sufficienza. Oppure il Malawi, meraviglioso paese in cui ho fatto un reportage, che ha metà della superficie occupata da un lago e che tuttavia per resistenze culturali non è in grado di irrigare le terre, con la conseguenza che non ha una produzione agricola sufficiente a sfamare i propri abitanti, quando gestendo bene le risorse il problema si potrebbe risolvere. Perché non si fanno canali di irrigazione? Perché la gente continua a trasportare l’acqua in brocche sulla testa? Nessuno ha saputo rispondere a queste mie domande.
Che cosa pensi sia possibile fare per mettere fine a queste situazioni?
Credo che per la sopravvivenza di tutti sia giunto il momento di capire che il mondo ricco non può pesare su quello povero e che dobbiamo ragionare in termini mondiali: se la gente del terzo mondo emigra da noi è perché là muore di fame e i paesi ricchi non possono più innalzare muri. Sono convinta che il punto da cui partire sia l’educazione alla base, incentivando questi paesi a sfruttare bene le proprie risorse, senza voler tuttavia imporre la nostra cultura. E soprattutto vorrei che si evitassero episodi come quelli del “generoso dono” di semi transgenici ad alcuni paesi africani, che li rifiutarono in mezzo a mille polemiche: infatti accettarlo avrebbe obbligato i paesi beneficiati alla dipendenza del “generoso” donatore, dato che i semi Ogm sono brevettati e non hanno la capacità di riprodursi. A prescindere dal giudizio della scelta politica, credo sia fondamentale aiutare il Terzo mondo a rendersi indipendente. Solo così ci sarà la salvezza per tutti.