Mangiare è sempre più un modo per entrare in contatto con gli altri, per esibire uno status o esprimere delle emozioni. Ne parliamo con Paola Mastrocola, scrittrice
Ha scritto commedie per ragazzi e favole, e le copertine dei suoi libri sono spesso divertenti: probabilmente per questo, e forse anche perché faceva l’insegnante, molte persone pensano che Paola Mastrocola sia una scrittrice per bambini e ragazzi. In realtà, la sua produzione letteraria conta soprattutto romanzi, saggi critici e poesie, e le favole sono per adulti, come d’altra parte lo erano quelle di Perrault e dei fratelli Grimm. Ma chiarito quest’equivoco, andiamo a conoscere un po’ meglio, a tavola e non solo, questa nostra scrittrice spesso in cima alle classifiche dei libri più venduti.
Palline di pane è il titolo di un tuo romanzo: come entra il cibo nei libri che scrivi?
Certo, i miei personaggi fanno pranzi e cene, come tutti. Ma non descrivo quasi mai cosa stanno mangiando. In Una barca nel bosco però parlo molto di polpette, perché la mamma di Gaspare ha un gastronomia e fa sempre polpette, il cui odore invade la casa. Adoro questo piatto perché lo faceva sempre mia mamma, e l’ho messo volentieri nel romanzo.
Anche la Svezia, dove hai vissuto, è invasa dalle polpette! Che ricordi hai di quella terra?
Ho vissuto a Upsala per un anno quando ne avevo ventitré, insegnavo letteratura italiana all’università. Vivevo da sola e mangiavo malissimo: mi preparavo dei piatti unici con dentro tutto, pane, pasta, carne, formaggio, per fare in fretta. Della cucina svedese apprezzavo molto le meravigliose zuppe di ortica e i pesci marinati con l’aneto, ma soprattutto ho un bel ricordo delle loro abitudini: gli svedesi adorano la luce, e d’inverno quando viene buio presto, inondano di candele le loro case.
Stanno aumentando le iscrizioni alle scuole alberghiere: cosa ne pensi?
Credo sia perché la ristorazione è uno dei pochi settori che funzionano nel nostro paese e molti ragazzi la vedono come unico sbocco lavorativo. D’altronde è vero, a me pare non si faccia altro che mangiare qui da noi, ultimamente! Riempiamo bar e ristoranti, a tutte le ore. Forse è il nostro modo di consolarci, di sopravvivere in tempi di crisi, chissà. D’altra parte, che fare? Non abbiamo più un progetto, il senso del futuro, dell’attesa, né la speranza di una costruzione di vita e viviamo quindi alla giornata, nel modo più allegro possibile. Spaparanzati ai tavolini, soprattutto in estate, o affollando strade e piazze, in piedi con una bottiglia in mano fino all’alba. Il rito dell’apericena, per esempio: d’accordo, si spende poco, ma che cibo ci sarà mai in quei piattini composti da mille assaggini? Credo sia perché, pur di vivere “fuori”, in massa, siamo disposti a ingurgitare serenamente qualsiasi cosa.
Un modo di alimentarsi che esprime anche un’incapacità di stare soli con noi stessi
Ma certo, fondamentalmente questo: è sparita l’interiorità, non amiamo frequentare il nostro “interno”. Io invece credo ci farebbe bene, nell’ambito di una giornata, stare un paio d’ore da soli. Ma siamo nella società del “vediamoci sempre, facciamo tutto insieme” e rimanere in casa a leggere o a pensare viene percepito come un “non vivere”. E questo è un grosso guaio, perché non credo che la felicità arrivi dall’esterno, dovremmo pescarla nel nostro fondo, stare a contatto con i nostri pensieri per ricaricarci e poi riemergere per donare qualcosa di buono anche agli altri. Sennò è tutto uno scambio in superficie di non so cosa: esempio lampante sono gli sms, paroline, abbreviazioni e faccine che ci si scambia a centinaia, a un ritmo vorticoso, ma sono pieni di nulla.
Ritieni che la scuola debba avere un ruolo anche nell’educazione alimentare?
Sarò contro corrente, ma credo proprio di no. Si pretende che la nostra scuola educhi a tutto e si offrono tanti corsi, che certo sono anche interessanti, ma tolgono tempo alla formazione di base. Col risultato che dalle superiori escono studenti impreparati che non riescono a finire l’università. Una buona parte dell’educazione che si vuol delegare alla scuola sarebbe infatti, secondo me, compito di altre istituzioni, ad esempio la famiglia.
A proposito, un ricordo della sua famiglia a tavola?
Mio padre era abruzzese, e quando andavamo dai parenti in Abruzzo il pranzo era un rito lunghissimo, che iniziava all’una e finiva alle sei, con una serie infinita di antipasti, primi e secondi doppi, e dolci ovviamente. Faceva parte di una vita contadina dove il cibo era ricchezza.
A lei piace cucinare e invitare?
Certo, e non mi piace per niente l’abitudine del “tutti portano qualcosa”: quando invito non voglio che nessuno porti niente. Un pranzo deve avere una sua logica e le portate una loro armonia: se tutti portano qualcosa a caso, diventa un caos! Devo però precisare che a me piace stare in cucina per un tempo limitato: cerco di confezionare una cena in un’oretta, non di più. Mi piace anche molto fare la spesa. Amo andare al supermercato, dove mi perdo e osservo tutto, ma anche in certi negozietti nascosti, e da un qualche tempo anche nei negozi bio, che mi incuriosiscono e dove compro prodotti nuovi che poi… cucino malissimo. Ma non importa, mi sento molto “buona e giusta” a mangiare tofu!
Vegetarianesimo e veganesimo: che ne pensi?
Penso vada benissimo ridurre la carne e fare attenzione al tipo di allevamento, ma eliminarla del tutto e soprattutto essere intransigenti nei confronti di chi invece continua a mangiarla mi sembra un’esagerazione. Penso che un atteggiamento etico potrebbe essere non sprecare il cibo, mangiare un po’ meno e comprare quello che davvero serve.
Progetti futuri?
Sono appena andata in pensione e mi si è aperta una nuova vita: non saprei immaginare un progetto più impegnativo. Vorrei riprendere a dipingere, come facevo da ragazza. E poi ho quattro libri in testa da scrivere.
Cosa ti auguri riguardo ai nostri comportamenti alimentari?
Che l’industria alimentare non ci avveleni. E che si mangi tutti un po’ meno e meglio, perché il cibo si trasforma e diventa parte di noi e secondo me influenza moltissimo i nostri pensieri, e quindi il nostro modo di essere e di vivere.