La sua voce scandisce bene le parole, è una voce potente e dolce, dall’inconfondibile musicalità sarda, che ti immerge in una Sardegna di oggi eppure antica, con i suoi riti, anche legati al cibo, le sue magie, i segreti ancestrali eppure così attuali. È Michela Murgia, autrice del romanzo Accabadora, una presenza importante non solo nel campo della letteratura ma anche in quello della cultura e dell’impegno sociale, politico e ambientale, in cui ha fatto sentire la sua voce riguardo all’importanza della valorizzazione del territorio e delle produzioni agricole.
Oggi ci sono tanti “maestri” e guru che dettano le nostre scelte alimentari
Credo che l’affidamento ai guru della cucina vada di pari passo con la perdita di confidenza con il cibo, la sua produzione ciclica e la sua preparazione. Il cambiamento dovuto all’industrializzazione del Paese negli anni ‘60 ha radicalmente mutato il nostro rapporto rituale con l’atto del mangiare. Non c’è più tempo a sufficienza, non c’è più relazione intorno alla tavola, non c’è più percezione della stagionalità e - come sempre accade - quel che non è più quotidiano si sacralizza e diventa mistero di pochi. Per me il primo maestro nutrizionista è il corpo che, se ascoltato, dà segni chiari; poi segue il gusto, che va educato perché obbedisca al corpo, e non il contrario. Il resto sono suggestioni.
La scelta alimentare ha ricadute etiche, sociali, ambientali, economiche, filosofiche
Chi progetta un piatto progetta comportamenti. Dimenticare questo è una delle irresponsabilità più gravi che possiamo commettere. L’educazione alimentare dovrebbe entrare nelle scuole come forma di educazione civica, non solo come percorso di consapevolezza salutare.
Quanto è ancora “naturale” il nutrirsi? Penso all’uso di integratori, dei prodotti industriali
Non sono una talebana del naturalismo, perché il naturalismo in senso letterale non è mai esistito così come la specie umana, che è turbativa dell’ordine naturale per sua stessa esistenza. La mano umana interviene sulla natura da quando esiste l’agricoltura e ha aggiornato le sue modalità di pari passo con lo sviluppo tecnico. Definire il concetto di abuso in questi campi non è semplice e si rischia sempre di cadere nella semplificazione. Per i naturalisti radicali nemmeno il mandarancio è naturale, dato che in natura non c’era prima che lo facessimo noi con gli incroci.
Delle sacre scritture quali passi che riguardano il cibo trova più significativi e attuali?
Per un cristiano il rito dell’appartenenza suprema è l’eucarestia, cioè un atto alimentare; quelle parole potenti “questo pane è il mio corpo, questo vino è il mio sangue” dovrebbero bastare a sacralizzare qualunque pasto e rispettarne prodotti e vite a essi legate. Ma più che passi espliciti sul cibo (ce ne sono migliaia) mi piacciono le metafore evangeliche che evocano il valore simbolico del mangiare e farsi mangiare. Prima di fare il miracolo dei pani e dei pesci Gesù dice Il corpo unica guida agli apostoli: “Date loro voi stessi da mangiare”. La vulgata traduce con: siate voi a dargli da mangiare; in realtà la frase permette anche l’altra interpretazione: “datevi in cibo”, “siate loro di nutrimento”. Se tanti sacerdoti tenessero presente questo secondo senso, assai più profondo, avremmo probabilmente un clero migliore.
Parla di cibo nei suoi romanzi e ci sono pagine di letteratura che vuole citare a proposito?
In Accabadora e in Ave Mary ci sono intere pagine dedicate alla preparazione del cibo, proprio per il suo portato rituale. Il cibo è una delle cose più sensuali che si possano fare al mondo, data l’enorme quantità di sollecitazioni contemporanee che suscita. Nessuno però ha interpretato il rapporto tra letteratura e cibo come i sudamericani, Isabel Allende e Jorge Amado, entrambi provenienti da terre speziatissime.
Nella tradizione sarda, e probabilmente in altre, è vero che la carne è regno dei maschi mentre il pane e la pasta sono regno femminile?
Non la carne, ma l’arrosto. Le carni da pentola sono in mano alle donne come tutto il resto, il che mi fa dire che il regno dei maschi è il fuoco, quello della donna il fornello. È la divisione metaforica tra natura e cultura, ma vale anche come scala di valori. L’umanità svolta quando riesce a fare il fuoco, ma non ci saremmo mai evoluti se non fossimo riusciti anche a disciplinarlo.
Che ne dice del biologico?
Per fare il biologico in un regime di produzione che non sia riservato solo alle élite che possono pagarne i costi bisogna aver studiato tanto e bene. Il sinergico è una grande risorsa e la meccanica, la fisica e la chimica non sono sempre nemiche dell’agricoltura sana, anzi. Ho amici vignaioli che hanno sostituito l’azoto di sintesi con il favino sotto le viti e hanno ridotto il consumo idrico stendendo fili di rame a bassa tensione vicino alle radici per attrarre più in profondità l’umidità della notte. Sono saperi nuovi e tecnici.
E del vegetarianesimo e veganesimo?
Non ho la propensione a giudicare gli stili di vita e le scelte individuali. Allo stesso modo non amo essere giudicata per quel che mangio.
Spreco militare. Perché non se ne esce malgrado se ne parli tanto?
Perché siamo nati da gente che è cresciuta nel dopoguerra, con fami ataviche che nessuna quantità può davvero saziare. Mia nonna quando preparava il cibo diceva: meglio che ne avanzi che non che ne manchi. Intendeva però dire che lei dell’avanzo sapeva cosa farne ed era la cena del giorno dopo, mentre il destino del cibo avanzato oggi è la pattumiera. Chiedere gli avanzi al ristorante significa ancora per troppa gente mostrarsi affamati e le nostre parlate regionali sono piene di proverbi che stigmatizzano la mano dell’ingordo che si mangia l’ultimo boccone. È una lotta culturale.
Per finire: ci racconta come fa la spesa? Le piace cucinare?
Vengo da una famiglia di ristoratori e la cucina ha fatto parte della mia vita da sempre in modo dominante. La ricerca delle materie prime è un’ossessione ereditata da un contesto in cui l’accesso al cibo era immediato: solo oggi so che la mia normalità era un lusso. Purtroppo per me cucinare è sempre meno frequente. Vivo in viaggio, mangio spesso fuori e dedico alla scelta dei ristoranti la stessa cura che un tempo riuscivo a dedicare alla spesa al mercato.