Voleva essere una farfalla, come dice il titolo di un suo libro, e invece eccola qui a camminare con noi, anzi, a correre da un evento all’altro, per raccontarci il suo punto di vista su tanti argomenti diversi, ma uniti da mille fili: il cibo, l’anoressia, il corpo, l’amore, la donna, la vita, il dolore, la morte. Parliamo di Michela Marzano, conosciuta anche dal grande pubblico grazie alle sue partecipazioni a trasmissioni ed eventi culturali, docente di Filosofia morale all’Università René Descartes di Parigi.
Iniziamo a parlare di etica e cibo
Riguardo al consumatore sono restia a imporre un’etica sul modo di mangiare. Questa mia posizione deriva dall’aver in passato dovuto confrontarmi con disturbi alimentari caratterizzati proprio da eccessi della moderazione e del controllo, pur motivati eticamente nel nome della purezza e dal rifiuto di “lasciarsi sporcare” dagli alimenti che entrano nel proprio corpo. Credo che, banalmente, basterebbe imparare ad ascoltarlo, il corpo, che manda molti segnali riguardo a ciò di cui ha bisogno o ciò che, al contrario, è superfluo. E non utilizzare il cibo per compensare altre mancanze o esprimere la propria forza di volontà.
E un’etica della spesa…?
C’è poi un’etica nel cibo che inizia dalla produzione e che deve tener conto innanzitutto di come vengono allevati e abbattuti gli animali e interrogarsi sul rispetto della loro sofferenza. Ma l’ambito etico riguarda anche la nutrizione degli animali, che spesso vengono alimentati in modo sconsiderato e senza regole, aumentando la probabilità di intolleranze e allergie per chi li mangia. Poi c’è il discorso degli Ogm: è eticamente accettabile modificare un alimento per renderlo più produttivo e resistente, anche a scapito delle conseguenze sulla salute e sull’ambiente?
La filosofia può aiutarci a fare le scelte giuste in campo alimentare?
Certo, come può aiutarci in tutte le nostre scelte quotidiane, cercando “il giusto mezzo” come diceva Aristotele. Questo significa evitare di considerare il cibo o solo strumentale alla sussistenza o solo fonte di piacere: noi non mangiamo per vivere, esattamente come non viviamo per mangiare, perché abbiamo bisogno sia delle energie sia dei piaceri e delle soddisfazioni che esso ci dà.
Lei si è confrontata con l’anoressia: che relazione c’è tra quella delle ragazze di oggi e la “santa anoressia” delle mistiche?
Sicuramente il filo che lega il rifiuto del cibo di sante come Caterina e Veronica, tanto per citare le più famose perché sono tantissime, a quello di chi ha oggi disturbi alimentari è l’ideale di perfezione e di purezza, la necessità di controllo e di spostare l’attenzione dal materiale allo spirituale e il considerare il cibo come qualcosa di sporco da cui ci si deve allontanare. Questo risulta molto bene dagli scritti delle mistiche, per le quali però il rifiuto del cibo aveva soprattutto la valenza etica di lasciar emergere la purezza dell’anima, di raggiungere l’ascesi e l’indipendenza dal mondo materiale, mentre oggi talvolta è preponderante l’ideale estetico, il desiderio di rispondere a dei canoni di bellezza.
Come ha affrontato il suo problema?
Il percorso è stato lungo e ha richiesto vent’anni di psicanalisi e per descriverlo in tutte le sfumature è stata necessaria l’ampiezza di un libro: il problema infatti non è solo il sintomo, l’anoressia, ma tutto quello che c’è dietro, che ci costringe a confrontarci con la nostra immagine, con l’ideale di noi stessi, con lo sguardo e il giudizio degli altri e col peso che questi hanno sempre avuto su di noi. Dietro c’è il tentativo disperato di essere altro rispetto a se stessi: se arrivo a controllare tutto, persino la fame, potrò dimostrare di essere perfetta e all’altezza delle aspettative. Il lavoro grosso è proprio smontare tutto ciò che sta dietro al sintomo.
Un consiglio a chi sta facendo i conti con l’anoressia, penso soprattutto ai genitori di adolescenti
Innanzitutto non pensare di affrontarlo dando consigli alimentari perché non è un problema alimentare e il rifiuto del cibo è solo la punta dell’iceberg. E nemmeno sottovalutarlo pensando sia un capriccio. Preso atto di ciò, il mio consiglio è rivolgersi a un centro, uno psicoterapeuta o psicanalista specializzati nei disturbi alimentari: da soli non se ne esce e soprattutto si rischia di illudersi di aver superato il problema, ma è probabile che il disagio si manifesterà con un altro sintomo.
Come è cambiato il suo rapporto col cibo dopo aver superato il problema?
Quello che posso notare è che ora so riconoscere le richieste del mio corpo, mi ascolto e scelgo, ad esempio cibo salato o dolce, e mangio a seconda dell’appetito che ho. Ora mangio volentieri, cucino perfino, all’italiana e in modo semplice, anche se vivo in Francia, ma ancora sono ben contenta se qualcuno lo fa per me!
Ristoranti “all you can eat”, supermercati aperti ventiquattrore su ventiquattro: cosa ne pensa?
Personalmente l’unica volta che sono andata in un locale del genere ho mangiato addirittura di meno, perché mi angosciava l’idea di dovermi riempire al di là dei miei bisogni, cosa che per me non ha proprio senso. Credo però che il successo di queste formule dipenda dal fatto che molta gente che ha difficoltà economiche quando va al ristorante vuole saziarsi a poco prezzo e che il supermercato sempre aperto permetta di gestire con più libertà il tempo. Sono formule in linea col consumismo dilagante in tutti gli ambiti. Ma visto che abbiamo accennato alla giusta via di mezzo, trovo assurde anche le porzioni inesistenti, anche se molto decorative, della nouvelle cuisine!
Il suo pensiero sui vegetariani?
Non amo molto la carne e mi piacerebbe orientarmi verso una dieta con maggior verdura, legumi e cereali, che adoro, ma ci vuole tantissimo tempo ed essere ottimi cuochi per fare cose buone e io non ho né questo tempo né le capacità!
Concludendo, una speranza sul cibo
Vorrei ritornasse ad essere semplicemente cibo e che la si smettesse di caricarlo di altri valori.