Rocco Papaleo, attore e comico, mantiene, nonostante il successo, un forte legame con i sapori della sua infanzia e dell’amata terra d’origine, la Basilicata. Piatti semplici e contadini, che invitano a pasti lenti e a conversazioni tra amici, in compagnia di un buon bicchiere di vino
Rocco Papaleo viene definito in tanti modi: attore di cinema e teatro, ma anche musicista, cabarettista, comico e regista. Mille sfaccettature per un solo personaggio che di sé ama dire: “Sono soprattutto un cantautore. Ho sempre suonato la chitarra per accompagnare le mie canzoni”.
Canzoni che, come lui dice, “non risolvono i problemi sociali… ma nemmeno ne creano!”. Simpatico, non c’è che dire…
Sei stato uno dei protagonisti del film “Il pranzo della domenica”. Ma che significato ha per te questo pasto?
Per me è come un’istituzione, che però è cambiata negli anni. Quando ero ragazzo e vivevo a Lauria (in provincia di Potenza, in Basilicata, dove continuo a mantenere la residenza nella casa in cui sono nato), il pranzo festivo era un momento speciale. Spesso con lo stesso menù - “maccheroni filati” con il sugo al pomodoro, cotolette e patatine fritte - aveva un sapore intenso, non solo nel gusto, ma perché si stava tutti insieme ed era un momento per parlare e confrontarsi. Poi sono arrivati gli anni dell’università a Roma, e il pranzo domenicale è diventato sinonimo di abbondanza. Si mangiava a casa di una zia di un mio compagno di studi che preparava piatti prelibatissimi e particolari. Dopo una settimana di mensa o di pasta condita con il sugo in scatola era un vero e proprio trionfo per la gola. E arriviamo a oggi: è spesso un pranzo solitario nella mia casa romana, più intimo e più sobrio dal punto di vista culinario.
E il menù perfetto per il pranzo domenicale? Che cosa non dovrebbe mai mancare?
Se dovessi scegliere un menù perfetto sicuramente m’ispirerei a quelli di mia madre Giovannina, perché la sua cucina era veramente ottima. Questo mio desiderio è in parte dovuto anche alla voglia di fermare il tempo a una condizione infantile e spensierata.
I cibi che apprezzo molto e che non vorrei mancassero mai sulla tavola domenicale sono, ad esempio, le verdure a vapore e tutti quei cibi leggeri e sani che spesso chi, come me, mangia fuori casa e al ristorante, tende a trascurare.
Nei tuoi lavori, e nella tua cucina, quanto c’è di lucano?
L’amore per la mia terra viene spesso evidenziato nei miei lavori, ma non mi sento circoscritto al territorio, anche se il mio passato rappresenta un patrimonio a cui non posso e non voglio rinunciare. Per quanto riguarda il cibo, sinceramente non sono un gran chef, cucino per bisogno, quindi difficilmente propongo piatti regionali e mi limito all’essenziale.
La Basilicata è una terra di grandi vini, come l’Aglianico del Vulture, proprio delle tue parti. Un buon bicchier di vino per te è sinonimo di...
... di armonia, quanto meno di quella interiore. Il vino mi porta in una dimensione calorosa ed esistenziale. Bere un bicchiere di buon vino è come riappropriarsi della radice di sé stessi. Ma come per i piaceri del palato, anche sull’enologia tendo ad avere curiosità per le altre culture. Mi piace molto l’Aglianico, frutto eccelso di terreni vulcanici fertilissimi, ma apprezzo anche i vini toscani, siciliani, pugliesi e molto quelli francesi.
Quanto è importante per te l’aspetto salutista dell’alimentazione? Che cosa ne pensi dei cibi biologici?
A tavola mi piace fare il pieno di salute. Facendo molto teatro sono spesso via e, pur apprezzando le specialità dei luoghi febbraio 2009 in cui vado per lavoro, sento il bisogno di “disintossicarmi” con piatti leggeri. Ecco allora riso con verdure al vapore, pesce grigliato che trova il suo grande alleato nell’olio extravergine d’oliva, dorato e raffinato, un vero e proprio concentrato di virtù. E ancora sale aromatico, erba cipollina e altre aromatiche. Insomma cerco di seguire un regime alimentare equilibrato per tenermi in forma. Quando riesco, poi, cerco di utilizzare prodotti biologici e appena posso faccio il pieno di frutta e verdura direttamente nelle aziende agricole che conosco.
Se dovessi paragonare te stesso a un piatto, quale sarebbe?
Sicuramente alle “melanzane alla parmigiana” e più in generale a tutte quelle pietanze “a strati”. In me convivono nello stesso momento euforia e depressione, così come nella parmigiana ogni livello ha una sua gustosità. Solo che per le melanzane è sempre tutto buono, in me capita ogni tanto che venga fuori anche la parte meno buona. Ma chi mi ama deve prendermi in blocco, proprio come la parmigiana che si mangia ben amalgamata.
E qual è la tua passione?
Ritengo insuperabile la “pasta con i fagioli sfritta”, quella dei nostri nonni, che ha il profumo delle cose vere. Da noi, in Basilicata, la chiamano “lagane e fasul” e i fagioli sono quelli di Sarconi, un paese della Valle dell’Agri che è addirittura la Capitale europea del fagiolo, come recita un cartello all’ingresso. Una vera bontà.