Ascanio Celestini, artista poliedrico di teatro, cinema e televisione, denuncia con sottile ironia e senza veli tutti gli angoli bui della nostra moderna società, a iniziare dal rapporto con il cibo, invitandoci a vivere la quotidianità in modo più etico e coerente, ad iniziare dalla spesa
Ascanio Celestini è regista, attore, autore, scrittore, cantautore fra i più eclettici e “pensanti”, grande affabulatore ma anche persona molto umile, sempre attento ai temi sociali, alle sofferenze degli ultimi, alle ingiustizie. Il cibo è spesso presente nei suoi lavori, come elemento di vita, come paradosso, come simbolo perfetto di un mondo senza limiti e senza capacità critica, che ha perso il suo valore e che ci si ritorce contro. Nell’ultimo suo film, La pecora nera, che apre uno squarcio implacabile e un punto di vista originale sulla malattia (o presunta tale) mentale, molte scene si svolgono in un supermercato, dove alla fine c’è l’apoteosi del “cibo Moloch” che si prende la sua rivincita su chi consuma in modo eccessivo e acritico. E sicuramente molti avranno chiuso gli occhi durante uno dei momenti iniziali della pellicola, quando il protagonista bambino si mangia un enorme ragno nero, per dimostrare coraggio.
Ma tu da bambino i ragni li mangiavi davvero?
Nel film il bambino ne mangia uno di liquirizia! Ma quello che si muove inquadrato sulla ragnatela è vero. Da bambino non mangiavo i ragni ma nemmeno le merendine. Non c’era l’abitudine. Uno dei miei ricordi infantili riguardo al cibo è legato alla complessa simbologia a cui esso si riferisce, o almeno si è riferito per millenni, alla sua ritualità. Mentre ero in vacanza in un paesino abruzzese, capitò che la signora Nunziata, che aveva uno di quei tipici negozi di paese in cui si vende di tutto, un giorno si mise a regalare gelati ai bambini, quasi tutti villeggianti come me. Una volta finiti i gelati, continuò per tutto il giorno a nutrirci con panini imbottiti e altro ancora, lasciandoci piacevolmente esterefatti e satolli. Il motivo di questa inconsueta elargizione lo capii solo molti anni dopo: quel giorno cadeva l’anniversario della morte di suo padre e la tradizione vuole che in queste ricorrenze si distribuisca cibo ai bambini e ai viandanti che, non avendo una personalità sociale, sono vicari dei morti. È un po’ insomma come nutrire la persona defunta ed esorcizzare la paura: “date qualcosa per i morti, che i vivi gli ciecano l’occhi” (date qualcosa ai morti che altrimenti accecano i vivi) diceva mia nonna. E c’è tutta una simbologia antichissima sullo sguardo dei morti.
La tradizione “Dolcetto scherzetto” della festa di Ognissanti, insomma, viene spacciata come abitudine americana ma in realtà arriva da noi
Certo, il nesso cibo-morti è fortissimo e ricorre in tutte le culture: in occasione di un funerale si mangia per sottolineare il fatto che si è vivi - i morti non mangiano - e che la vita va avanti. Altre sono le rinunzie del lutto: si coprono gli specchi, perché i morti vi restano intrappolati, non si accendono fuochi, si fa “morire “ la casa, però si mangia, perché chi è vivo accompagna il morto, ma non può morire con lui. Così come in molte tradizioni ai funerali si parla di sesso in modo anche sboccato, proprio per esorcizzare la morte: cibo e sesso sono, infatti, i più forti elementi vitali.
Ho l’impressione che nell’ultima manciata di anni ci siamo persi una bella fetta della ritualità e della sacralità legata al cibo
Credo di sì, soprattutto perché non abbiamo più il legame tra ciò che è prodotto e ciò che è consumato e questo è particolarmente triste quando si tratta di cibo, diventato un mero oggetto di consumo che si trova sui banchi del supermercato in confezioni che potrebbero contenere qualunque schifezza. È per questo che nel film La pecora nera il protagonista dice che il cliente del supermercato compra vomito: potrebbe comprare qualunque cosa e oltretutto in quantità illimitata, tanto ce n’è sempre. Questo accade appunto per la mancanza di consapevolezza sulla produzione del cibo, sulla sua disponibilità: nel mondo rurale si conosce la fatica fatta per produrre un alimento, gli si dà un valore e, se finisce, bisogna attendere un nuovo raccolto per poterne nuovamente disporre. Ora questo non esiste più, proprio per la scissione tra il mondo della produzione e quello del consumo.
È questo ciò che vuoi comunicare quando il tuo protagonista si mette a mangiare in modo compulsivo al supermercato e alla fine rigetta tutto?
Certo, il cibo del supermercato viene presentato e percepito come infinito, entra ed esce senza percezione, si mangia e si vomita: è l’illusione di superare la natura con la cultura. E come il cibo, anche la vita oggi viene considerata infinita e non si ha più la percezione della morte, della vecchiaia e della malattia, che vengono infatti rifiutate.
Che responsabilità ha, ciascuno di noi, nel gestire questa situazione perversa?
Credo che ognuno di noi sia responsabile se non agisce con senso critico: e non parlo tanto di chi ingurgita di tutto senza badare alla qualità, probabilmente per mancanza di strumenti culturali, ma di chi magari è maniaco del biologico, del chilometro zero e altro, ma non è coerente, non contestualizza e non inserisce queste scelte in uno stile di vita etico.
Cioè chi gira in città in suv o spreca litri d’acqua per lavarsi i denti?
Qualcosa del genere. Ma credo sia anche importante mantenere il contatto con chi produce il cibo: in casa nostra mangiamo molte verdure in tutti i modi, cotte, crude, in zuppe e minestroni. Anche perché è abbastanza facile rifornirci dai contadini, pur vivendo per il momento a Roma. E questo ci porta a rispettare la stagionalità, che è uno degli altri valori che si stanno perdendo. Mi piace molto fare la pasta in casa, in famiglia, e in questo coinvolgo anche mio figlio che è bravissimo e si diverte molto: mettiamo tutti e tre la “parannanza” - il grembiule - e passiamo pomeriggi interi a cucinare, soprattutto in inverno. Trovo che impastare sia importantissimo per raffinare e utilizzare tutti i sensi, anche il tatto e l’olfatto, un po’ trascurati nella nostra civiltà, e che sia un bel modo di relazionarsi, anche meglio del gioco. Per contro, mangiamo pochissima carne: la acquistiamo solo se ne conosciamo la provenienza e se è di qualità.
Altro argomento problematico è quello della produzione dei rifiuti
Nel nostro condominio abbiamo avuto la riprova che, con un po’ di attenzione, si riesce a ridurre moltissimo la produzione di rifiuti: da quando facciamo il compost nel giardino con i rifiuti organici, il sacchetto della raccolta indifferenziata dura tantissimo. Mi sento invece impotente riguardo agli imballaggi, che sono veramente molti e in gran parte inutili: in questo e in altri ambiti è indispensabile un intervento dall’alto, perché con tutta la buona volontà individuale non si riesce a eliminarli.
Un suggerimento conclusivo per incrementare la nostra coscienza individuale
Impariamo a produrre almeno parte del cibo che consumiamo, trasformiamo i nostri terrazzi, ma anche i balconi e perfino i davanzali, in orti: basilico, prezzemolo, pomodori, sono bellissime piante ornamentali!